La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

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La fabbrica di guanti

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“Le fabbriche di guanti, general­mente, sono state aziende a gestione familiare. Di padre in figlio. Aziende molto tradizionali. Per la maggior parte degli industriali, un prodotto è un prodotto. Chi lo produce non sa nulla del prodotto. L’industria guan­taria non è così. Questa industria ha una lunga, lunghissima storia… Ci vogliono passione e tradizione per spingere qualcuno a rimanere in un settore industriale come questo”.

Pastorale americana, uno dei roman­zi più noti di Philip Roth, il grande scrittore scomparso a marzo 2018, racconta l’intreccio tra la storia di questa fabbrica e la vita della famiglia che l’ha creata e gestita (edizione ita­liana: 1998, traduzione di Vincenzo Mantovani, Einaudi, Torino).

I personaggi chiave appartengono a quattro diverse generazioni di una famiglia ebrea, i Levov, il cui capostipite era immigra­to dall’Europa intorno al 1890: “Tre generazioni. Tutte avevano fatto dei passi avanti. Quella che aveva lavo­rato. Quella che aveva risparmiato. Quella che aveva sfondato. Tre gene­razioni innamorate dell’America. Tre generazioni che volevano integrarsi con la gente che vi avevano trovato. E ora, con la quarta, tutto era finito in niente. La completa vandalizzazione del loro mondo”.

Tra loro spicca la figura dello ‘Sve­dese’ (un soprannome ricevuto in ambito scolastico), che il narratore ha conosciuto come compagno di scuola e sportivo di grande successo, poi soldato (volontario nei Marines nel 1945, ma senza la possibilità di combattere per la fine della guerra) e quindi manager e imprenditore vin­cente nell’azienda fondata dal padre.

Il suo vero nome è Seymour Levov e la sua vita esce dall’apparente lineari­tà per rivelarsi molto più travagliata e sofferta per l’incapacità di affrontare il dramma conseguente al comporta­mento deviante e autodistruttivo del­la figlia Merry.

Roth tocca i vertici della sua forza espressiva nel proiettare l’irruzione del caos nella vita di una famiglia che sembrava incarnare gli ideali del so­gno americano sullo sfondo della so­cietà statunitense degli Anni 60 e suc­cessivi, segnata dalle tensioni razziali, dai conflitti politici inerenti la Guerra del Vietnam e dai mutamenti portati dall’ormai imminente globalizzazio­ne dell’economia.

Ne viene illumina­to soprattutto il carattere critico del passaggio dalla complessità tecnica, che lo Svedese aveva dominato nel­lo sport, nei Marines e nell’azienda, a quella relazionale: “L’uomo bello e buono con il suo modo indulgente di affrontare il conflitto e la contrad­dizione, l’ex atleta sicuro di sé ragio­nevole e pieno di risorse in ogni lotta con un avversario leale, si trova a do­versi misurare con un avversario che leale non èil male inestirpabile delle relazioni umane – ed è spacciato”.

Il concetto di ‘pastorale americana’ dovrebbe rappresentare un discorso di unità e di mutuo riconoscimento tra diversi, quale è simboleggiato dal­la Festa del Ringraziamento, quando “tutti mangiano le stesse cose”, “un tacchino colossale per 250 milioni di persone”, che “le sazia tutte”: “Una moratoria su ogni doglianza e su ogni risentimento […] per tutti coloro che, in America, diffidano l’uno dell’altro. È la pastorale americana per eccel­lenza e dura 24 ore”.

Il dramma dei Levov, padre e figlio, consiste nella scoperta traumatica che “il vecchio sistema per man­tenere l’ordine non funziona più”, che la lotta contro il disordine, con­tro l’eterno problema dell’errore e dell’insufficienza dell’uomo” è de­stinata alla sconfitta; anche “fab­bricare superbi guanti da donna di ogni misura” non garantisce “la co­struzione di una vita tale da andare a pennello a tutti coloro che ama­va”.

È il loro stesso congiunto, Jerry Levov, che in un concitato dialogo telefonico con il fratello mette il dito nella piaga: “Sai cos’è un guanto, cazzo. Ecco l’unica cosa che sai. […] Una famiglia tiranneggiata dai guanti, bastonata dai guanti, l’unica cosa che conti nella vita: guanti da donna!”.

Una lettura del romanzo attenta ai temi dell’impresa può trovare mol­teplici spunti di interesse, quali tra gli altri la storia della fondazione, la successione al vertice dell’azienda e le contraddizioni della responsabilità sociale.

L’articolo completo è pubblicato sul numero di Novembre-Dicembre 2018 di Sviluppo&Organizzazione.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)


Gianfranco Rebora

Gianfranco Rebora è Professore ordinario di Organizzazione e Gestione delle risorse umane all’Università LIUC – Cattaneo di Castellanza e Direttore della rivista Sviluppo&Organizzazione.

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