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Change management, a lezione da Sergio Marchionne

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Tra i tanti temi possibili per ricordare Sergio Marchionne e il suo impatto sulla cultura e la pratica del management vorrei toccare un solo argomento che mi è capitato qualche anno fa di trattare: il turnaround di Fiat nella fase iniziale (2004-2006) che ha definito un paradigma di riferimento per il change management.

Se il turnaround è “una trasformazione veloce e intensa in risposta a una crisi che minaccia la sopravvivenza stessa di un’impresa, ponendo le basi per il suo rilancio”, è difficile trovare esempi migliori, più chiari e netti, di quanto avvenuto alla Fiat in quel periodo.

Riprendo così alcuni elementi di descrizione dal mio articolo Il cambiamento organizzativo: una visione integrata, nel volume edito da ESTE Il cambiamento organizzativo, 2016, basato su documenti provenienti da diverse fonti e che riferisce i commenti di alcuni dei protagonisti, in primis lo stesso Sergio Marchionne.

Marchionne, un uomo solo al comando

Innanzitutto, è molto chiaro quali sono state le spinte al turnaround della Fiat: mercato e concorrenza. Su questo Sergio Marchionne si è espresso con grande chiarezza, non c’erano dubbi che il contesto richiedesse “grande rapidità e la capacità di adeguarsi in tempo reale ai cambiamenti del mercato”.

“Alla fine di luglio avevo un’idea molto chiara della situazione. Dovevamo risanare industrialmente l’azienda o l’azienda non ci sarebbe più stata. Non avevamo più giochetti da fare, nessuna carta da mettere sul tavolo. Dovevamo fare in modo che la gente tornasse a fidarsi di noi e a comprare le nostre macchine”. Il mandato di risanare l’impresa, ricevuto dal Consiglio di Amministrazione, sancisce formalmente e rafforza questo imperativo.

Sul  versante della responsabilità manageriale nel turnaround c’è un uomo solo al comando: in Fiat il nuovo CEO ha il pieno sostegno della proprietà; il rapporto con il Presidente Luca Cordero di Montezemolo funziona bene, ma questi, impegnato anche come Presidente di Confindustria, è un garante e uno sponsor.

Sergio Marchionne durante una visita ufficiale alla Jefferson North Assembly Plant (JNAP) di Detroit nel 2011

Il protagonista in Fiat è uno solo e appare pienamente consapevole di questo: “La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo. E ho paura che questo gruppo dopo i buoni risultati ottenuti cominci a sedersi. Ho individuato qualche sintomo. Ma a tutti dico, attenti. A chi si siede io gli tolgo la sedia di sotto”.

Una potente leadership di questo tipo si vale dell’apporto di altri agenti del cambiamento che ispira direttamente; così questi si sviluppano per linee verticali, fanno diretto riferimento al capo azienda e sono selezionati dall’interno e dall’esterno in base alla condivisione della nuova cultura.

Così Marchionne dichiara ancora: “Ho promosso ragazzi che erano qui da tempo, ma che venivano soffocati dai loro capi. Sono per il riconoscimento delle capacità delle persone che abbiano 30 o 60 anni. C’è una svolta culturale che le donne e gli uomini della nostra azienda hanno impresso al loro modo di pensare e di agire. A queste persone noi dobbiamo assicurare libertà di manovra e ampia autonomia […], dobbiamo dare loro la possibilità di crescere perché è l’unica via per assicurare anche la crescita dell’azienda”.

Marchionne ha rotto gli schemi

L’apprendimento è indotto per shock, come risulta dai racconti di chi era in azienda in quel periodo: il segreto del nuovo CEO è stato di capire che era fondamentale rompere uno schema. Il leader  promuove direttamente la discontinuità: “Ai miei collaboratori, al gruppo di ragazzi che sta rilanciando la Fiat, raccomando sempre di non seguire linee prevedibili, perché al traguardo della prevedibilità arriveranno prevedibilmente anche i concorrenti. E magari arriveranno anche prima di noi”.

Proprio l’imprevedibilità caratterizza la spinta impressa da Marchionne al management Fiat.

Questo metodo di apprendimento traumatico per shock, che si svolge quindi secondo lo schema innovativo per trauma del double loop feedback, si sposa con misure forti dal lato della gestione del potere aziendale, con la rapida sostituzione dei responsabili che non si adeguano. L’inerzia è quindi superata forzando i punti di resistenza.

L’articolo dedicato a Marchionne dal Wall Street Journal il 26 ottobre 2006 così esprime il suo modo di affrontare il sistema di potere manageriale incontrato alla Fiat: “Gli azionisti di controllo della Fiat sono la famiglia Agnelli, conosciuta per stile e formalità. Questa sensibilità si rispecchiava nella gerarchia della Fiat. I dirigenti che lavoravano nello stesso corridoio programmavano attraverso le rispettive segretarie gli appuntamenti per parlarsi tra loro. Non era questo lo stile di Marchionne“.

“Disse che la Fiat stava vendendo il 30% di auto in meno di pochi anni prima e non aveva più bisogno dello stesso numero di manager. Degli oltre 700 nell’impresa dell’auto il 30% fu così mandato via. A livello corporate, smantellò uno strato di management di 300 persone che controllava le unità aziendali dell’auto, degli autocarri e dei trattori”. Il Wall Street Journal cita anche il parere del Capo del Personale Francesco Garello: “Ha dimostrato che abbiamo assunto responsabilità dal vertice per i problemi. Non abbiamo messo in stato di accusa gli operai di fabbrica, ma i decisori. Questo ha avuto un enorme impatto culturale”.

Marchionne e lo sviluppo delle risorse umane

La tripla elica dei processi di cambiamento si sviluppa però anche nella terza componente, lo sviluppo delle risorse, come emerge ancora dal report del Wall Strett Journal: “Mentre lasciava a casa i manager ne promuoveva altri. Luca De Meo venne messo a capo del core brand della Fiat pur essendo solo un 39enne da meno di tre anni in Fiat. ‘Non era stato nell’organizzazione abbastanza a lungo per assumere le cattive abitudini’ disse Marchionne”.

“E De Meo sposò l’approccio non ortodosso. Assunse consulenti dalla svedese Ikea per iniettare nella vendita un sentimento favorevole ai clienti. In precedenza i dipartimenti di engineering e progettazione avevano cinque unità indipendenti e due divisioni internazionali, ciascuna delle quali sviluppava prodotti per conto suo”.

“C’era poca comunicazione e sinergia e il morale era depresso” dice Harald Wester, un nuovo capo dello sviluppo prodotti assunto dal CEO.

Lo sviluppo delle risorse umane e delle competenze tecniche avviene quindi in modo molto selettivo e investe soprattutto gli ambiti critici dell’organizzazione: lo sviluppo di professionalità e competenze in particolare segue la strada più veloce dell’inserimento dall’esterno là dove si rilevano carenze nell’assetto precedente.

I risultati attesi del risanamento sono stati conseguiti nei termini del miglioramento in tempi brevi dei fondamentali indicatori aziendali di successo economico e competitivo: redditività e quote di mercato prima di tutto.

La tabella che segue sintetizza gli elementi essenziali del modello di turnaround desunto dall’esempio di Fiat.

In conclusione, credo che a Marchionne vada riconosciuta la capacità non solo di realizzare il proprio progetto, ma anche quella di concettualizzarne e comunicarne la portata innovativa, in modo semplice ma molto efficace. La relazione da lui tenuta al Politecnico di Torino nel 2008 ne è una chiara manifestazione.


Gianfranco Rebora

Gianfranco Rebora è Professore ordinario di Organizzazione e Gestione delle risorse umane all’Università LIUC – Cattaneo di Castellanza e Direttore della rivista Sviluppo&Organizzazione.

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