La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

Web e nativi digitali: come cambiano le organizzazioni

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di Mauro Cossu, Partner di Fedro

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La trasformazione digitale e i sistemi organizzativi
La trasformazione digitale è prima di tutto una trasformazione culturale. Le nuove piattaforme collaborative (Skype, Link, Sametime, ecc.) vengono sempre di più rese disponibili nelle organizzazioni, ma spesso i dipendenti non ne intravvedono i benefici. La collaborazione, prima di tutto, è un fatto culturale, non tecnologico.

Come ha ben scritto Patrick McGovern – compianto fondatore e Direttore del Mc Govern Institute for Brain Reaserch presso il MIT di Boston –: “Alcune delle innovazioni più importanti dei prossimi decenni non saranno legate a nuove tecnologie, quanto a nuovi modi di lavorare insieme, che saranno resi possibili da queste nuove tecnologie. Le organizzazioni, quindi, dovranno focalizzare i propri sforzi nel creare una cultura che incoraggi e premi il lavoro collaborativo, che consenta di trarre il massimo dei benefici dall’utilizzo di tutte queste nuove tecnologie”.
Il mondo si sta spostando a velocità vertiginosa da un sistema basato sulla gerarchia a uno basato sul network. “Le aziende e coloro che esercitano la leadership non hanno altra scelta se non accettare un nuovo mondo, che si differenzia sostanzialmente dal vecchio. Accolto o meno, il futuro è inevitabile. Allo stesso tempo, dobbiamo scegliere se negare questi cambiamenti culturali ed economici o invece riconoscerli e abbracciarli. A un livello successivo, c’è un’ulteriore scelta, sia per le organizzazioni sia per gli individui: se, e in che misura, coltivare la cultura, gli schemi mentali, le abilità e le conoscenze che consentono di sfruttare le enormi potenzialità degli strumenti del web in continua evoluzione, per meglio realizzare i loro scopi” (McGonagill, Doerffer).
Le strutture gerarchiche nelle organizzazioni non scompariranno mai, ma dovranno sempre più condividere il potere con il sistema delle reti. Dovranno abbracciare culture collaborative, sia con i propri dipendenti sia con i propri clienti. I confini dell’organizzazione diventeranno più grigi nella rete. Mentre ciò che è decisamente in bianco e nero – cioè il “business as usual” – non sarà un modello sostenibile nel futuro.

Un nuovo paradigma per la leadership
La pressione derivante dall’ingresso dei nativi digitali nelle organizzazioni e la costante evoluzione e diffusione degli strumenti del web stanno rendendo i modelli tradizionali di leadership obsoleti, offrendo al contempo, nuove e importanti possibilità di migliorarne l’efficacia.

Il web e i suoi figli – i millennial – stanno costantemente aumentando la pressione sui leader in tutti i settori, spingendoli ad abbracciare modelli che prevedano una maggiore apertura e inclusione, attraverso:

  • una sempre maggiore facilità nel connettere le persone sia all’interno sia all’esterno delle organizzazioni;
  • la richiesta costante e continua di una piena trasparenza;
  • il drastico abbassamento dei costi di collaborazione.

Allo stesso tempo, il web offre alle organizzazioni i mezzi necessari per rispondere alla crescente domanda dei nativi digitali di (ri)organizzarsi in maniera più efficace ed efficiente, secondo i nuovi parametri che questi portano in dote.
Di fatto, quindi, negli ultimi anni si è determinata la difficilmente procrastinabile esigenza di un nuovo paradigma per la leadership. Grady McGonagill e Tina Doerffer individuano diversi segnali che, a parer loro, rendono necessario questo cambiamento:

  • la leadership è ora vista non più come un’attività, ma in quanto ruolo;
  • la leadership è ormai considerata un fenomeno collettivo;
  • la leadership individuale ora ha bisogno di livelli più elevati di sviluppo personale;
  • la leadership, da organizzazione-centrica è sempre più un modello network-centrico;
  • l’organizzazione è diventata un ‘organismo’, non più una ‘macchina’;
  • il paradigma ‘apprendimento e adattamento’ è stato sostituito da quello ‘pianificazione e controllo’;
  • dalla Generazione X (baby-boomer) alla Generazione Y (nativi digitali).

La necessità di un nuovo paradigma è raramente contestata, ma non vi è un consenso unanime su come questo dovrebbe essere. Probabilmente l’era di un unico paradigma valido una et semper sta rapidamente cedendo il passo (se non lo ha già fatto) a paradigmi multi dimensionali; si veda a tal proposito il modello bidimensionale di Leadership Transazionale-Trasformazionale proposto da Bernard Bass (1990). Tuttavia, ciò che sembra abbastanza chiaro è che, quale sarà il paradigma dominante, questo dovrà comunque trovare il modo di soddisfare i criteri sotto elencati.
La leadership dovrà, dunque, essere:

  • adattiva (in grado cioè di apprendere e rispondere velocemente ai cambiamenti in corso);
  • supportiva di emergenza (ad esempio, in grado di riconoscere e accettare il fatto che i sistemi possono spontaneamente auto-organizzarsi e creare nuove modalità e soluzioni);
  • consapevole della complessità (capace cioè di affrontare le sfide con il giusto grado di input, pensiero ed emozioni in base alla loro complessità);
  • integrale (ad esempio, tenendo conto di un ampio set di prospettive su persone, organizzazioni e la società nel suo complesso);
  • orientata ai risultati (vale a dire, più concentrata sui risultati che derivano dalla leadership piuttosto che sui particolari modi in cui questi risultati vengono raggiunti).

Millennial vs baby boomer?
I millennial sono persone che non hanno mai conosciuto un mondo senza internet, instant messaging, giochi online e la possibilità di presenza digitale costante e continua con reti di persone. Si aspettano un accesso immediato alle informazioni e interagiscono naturalmente con le comunità che non sono vincolate da confini geografici e organizzativi. La loro è la generazione che sta cominciando a entrare nel mondo del lavoro; essi diventeranno i lavoratori della conoscenza del futuro.

A causa della loro crescita in un mondo digitale, portano in dote e sono preparati a un diverso insieme di competenze rispetto alle generazioni precedenti. Essi hanno sviluppato norme comportamentali ed etiche nella condivisione e nell’utilizzo di tecnologie che differiscono significativamente. Eppure, come entrano nella forza lavoro, riempiendo il gap occupazionale creato dal pensionamento di milioni di baby boomer, si ritrovano in strutture organizzative costretti a utilizzare sistemi progettati ‘da e per i figli’ del baby boom.
Nei luoghi di lavoro e nelle interazioni con gli altri, le caratteristiche comportamentali dei nativi digitali spesso possono essere in contrasto con quelle delle altre generazioni (Mason, Barzilai-Nahon, Lou, 2009). La tabella seguente mette in comparazione l’insieme di valori, atteggiamenti e i diversi stili dei nativi digitali con quelli dei baby boomer. Molte delle differenze evidenziate illustrano le possibili tensioni che potrebbero sorgere, nel momento in cui i nativi digitali verranno impiegati in organizzazioni che hanno strutture e norme progettate (o che si sono evolute nel corso del tempo) per soddisfare le esigenze e le norme di comportamento delle generazioni precedenti.
La natura indipendente e altamente collaborativa dei nativi digitali contrasta con quella dei baby boomer, che possono essere più orientati al compito e indipendenti in termini di stili di lavoro. Questa influenza si può riflettere in misura sempre maggiore in quelle organizzazioni che cominciano ad allontanarsi da una struttura gerarchica del lavoro, basata sul comando, e si avviano verso modelli più collaborativi, strutturati in network.
Inoltre, i nativi digitali generalmente rispondono meglio al learning esperienziale, mentre la maggior parte delle organizzazioni fa ancora molto affidamento sulla formazione tradizionale, soprattutto per le competenze base di ruolo e per i programmi di onboarding.
O ancora, i nativi digitali possono trovarsi in disaccordo/conflitto con colleghi con maggiore esperienza che, in quanto tali, si aspettano da essi un rispetto ‘dovuto’, ottenendo, invece, il disconoscimento di un riconoscimento aprioristico sulla base della semplice esperienza o anzianità in azienda/ruolo.

 

Valori, attitudini e stili Nativi digitali Baby boomer
Stile lavorativo Multitasking Time management
Stile di apprendimento Apprendimento tramite l’esperienza Apprendimento tramite formazione
Collaborazione Collaborativi Indipendenti
Motivazione Rinforzo positivo Competizione
Rapporto con l’autorità Il rispetto deve essere guadagnato Rispetto per l’autorità
Struttura Decentralizzata, non gerarchica, inclusiva Centralizzata, gerarchica, esclusiva
Accesso alle informazioni Per tutti Riservato all’autorità

Tab. 1 Comparazione degli stili di lavoro tra i nativi digitali ed i baby boomer 

Conclusioni: la sfida dei nativi digitali
Appare evidente, a questo punto, come, sia per i leader sia per le organizzazioni, i nativi digitali costituiscano una sfida che non solo non può essere evitata, ma per la quale è necessario che tutti gli attori si preparino. Ma rimanendo nel contesto organizzativo/del lavoro, siamo certi che queste due entità siano le uniche a essere fortemente impattate da questa sfida? Siamo certi che sia sufficiente che i leader abbraccino un nuovo approccio alla leadership e che le organizzazioni cambino la loro cultura e il loro modello organizzativo di approccio al lavoro?

I millennial sono abituati a utilizzare i moderni device (smartphone, tablet, game console portatili, ecc.) in ogni momento e in ogni luogo. Sono avvezzi (e probabilmente non saprebbero fare altrimenti) a esprimere e condividere commenti, stati d’animo, pensieri in modalità just-in-time grazie alla miriade di social network e applicazioni disponibili. È possibile pensare che questo non influenzi il loro approccio al lavoro e con il luogo di lavoro? Quanto questa libertà esperita è compatibile con un mondo del lavoro in cui ancora oggi badge, orari e luoghi di lavoro, pause, vincoli delle reti aziendali rappresentano elementi che è quasi impossibile bypassare?
Essendo sempre connessi, i millennial non capiscono o potrebbero non capire perché in particolari condizioni, per esempio, non possano lavorare da casa. Oppure perché dover ‘beggiare’ ogni volta che entrano o escono. E ancora, perché i maggiori social network molto spesso non sono accessibili dai propri computer aziendali. Loro non hanno idea e non sono nemmeno particolarmente interessati (con l’eccezione degli operai negli stabilimenti produttivi) a questioni quali la sicurezza sul luogo di lavoro, l’orario di lavoro o la sicurezza dei server aziendali.
Quelle aziende che si dedicano a cercare di rendere più flessibile il proprio approccio al lavoro (spesso come parte di un più ampio progetto di cambiamento della cultura organizzativa), tentando di introdurre, per esempio, la mono-timbratura (all’ingresso) e l’home-working per alcune figure professionali, rischiano di ritrovarsi con risultati frustranti in ambedue i casi. Ognuna delle due iniziative, infatti, è soggetta a una serie di vincoli burocratico-amministrativi che ne depotenziano o addirittura ne impediscono la realizzazione. Spesso, infatti, tali iniziative devono essere oggetto di accordi sindacali e, successivamente, di integrazione nella cosiddetta contrattazione di secondo livello (CIA). Ma anche quando l’intricato scoglio sindacale dovesse essere superato, ecco che si troverebbero di fronte ad altri vincoli non da poco.
Quando, infatti, il passaggio alla mono-timbratura (con effetto sulla rilevazione delle presenze giornaliere) dovesse andare a buon fine, gli impiegati (con nessuna eccezione relativa ai livelli contrattuali) dovrebbero comunque ‘beggiare’ ogni entrata e uscita per via della legge sulla sicurezza sul luogo di lavoro, che prevede il costante e puntuale monitoraggio di chi è presente o meno nel sito produttivo. Ma c’è di più. Talvolta le organizzazioni in maniera più o meno cristallina sono costrette a fare ricorso alle ‘beggiature’ per istruire una contestazione disciplinare al dipendente lassista o assenteista. Sono ancora nella memoria di molti, infatti, i vari scandali nella pubblica amministrazione di dipendenti che timbravano il cartellino non solo per sé stessi ma anche per altri colleghi, o timbravano per poi uscire subito dopo.
Per quanto riguarda poi l’home-working, nel momento in cui dovesse essere ratificato con apposito accordo sindacale e l’abitazione riconosciuta quale ‘dependance’ della normale sede di lavoro, le aziende si troverebbero a doversi confrontare con una situazione per cui l’abitazione dell’impiegato deve essere in regola con tutte quelle norme e certificazioni cui sono sottoposti i luoghi di lavoro: certificazione energetica, impianti a norma, connessione a internet, ecc. In un Paese in cui circa il 40% degli affitti è in nero, riuscire a ottenere da parte degli affittuari le certificazioni necessarie è cosa estremamente difficile, se non improbabile. Inoltre, chi si accollerebbe i costi di tali certificazioni/messe a norma e di quelli relativi alla connessione?
Questi, sono solo alcuni esempi indicativi e certamente non esaustivi di come, per quanto le organizzazioni possano fare per cambiare il loro approccio al lavoro e la loro cultura, alla fine ci sia bisogno che lo stesso faccia il legislatore, con buona parte di quelle norme, leggi e ‘leggine’ che regolano la materia.
In conclusione, quindi, la sfida dei millennial non si limita a essere rivolta alle aziende, ai leader, ai datori di lavoro e ai baby boomer, ma anche al più ampio, e in Italia estremamente complesso, sistema normativo/legislativo.

 

 

 

 

 

 

 

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