La forza del legame tra azienda e territorio
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Territorio e industria hanno dato vita, soprattutto nel Secondo Dopoguerra, a un legame stretto e fecondo che ha fatto da traino, più di ogni altra cosa, al nostro tanto rimpianto miracolo economico.
Quante città si sono identificate con ‘l’azienda’ che dava non solo lavoro a chi su quel territorio viveva, ma lo ripagava con un benessere che ricadeva a pioggia sull’intera collettività e con una visibilità che talvolta travalicava i confini nazionali? Quanti imprenditori coraggiosi e illuminati, inventori dal niente di realtà di assoluto prestigio per innovazione, qualità e affidabilità, unitamente all’apporto di generazioni di dirigenti, quadri e tecnici fedeli e preparati, hanno saputo dar vita a un modello organizzativo e manageriale, forse di impronta provinciale, ma sicuramente efficacissimo con il suo mix di pragmatismo e creatività?
Poi –già prima dell’avvento della globalizzazione selvaggia– qualcosa ha cominciato a cambiare e non sempre in meglio. Multinazionali affamate hanno effettuato ‘shopping’, talvolta poco rispettose degli equilibri locali; molti imprenditori, forse più abili come capitani d’industria che non come capitalisti, hanno preferito farsi da parte, assecondati spesso dalle successive generazioni familiari che, anziché proseguire e soprattutto innovare il lavoro dei loro predecessori, hanno optato per un comodo disimpegno, integrato da cospicui assegni, con cui trastullarsi nella migliore delle ipotesi in qualche fondo di private equity e condurre una vita da protagonisti del jet set.
Fortunatamente alcune eccezioni rimangono salde, per indicare a chi oggi fa impresa una strada tanto difficile quanto vincente, a dimostrazione di come quando una famiglia e un territorio stipulano tra di loro un contratto sociale in cui ciascuno si assume fino in fondo le proprie responsabilità, le ricadute positive finiscono con il beneficiare ogni stakeholder senza genere di distinzioni.
L’esempio di Ferrero
Le mie origini fanno sì che io viva a qualche decina di chilometri da Alba, una graziosa cittadina in provincia di Cuneo conosciuta fino agli Anni 70 come località sonnacchiosa e provinciale, frequentata all’epoca esclusivamente dai primi wine lover e dagli amanti di Beppe Fenoglio, ma pressoché ignota al turismo di massa nostrano e internazionale. Fino a non molti anni prima la Ferrero, nata proprio in quella zona nell’immediato Dopoguerra, rappresentava ai più la fabbrica della Pasta di Gianduia e della cioccolata: un’interessante società dai prodotti mediamente non ancora al livello dei principali concorrenti, anche se già votata all’internazionalizzazione, all’innovazione e con una forte sensibilità verso la comunicazione. Dietro alla vertiginosa crescita di questi decenni di Ferrero, non solo in Italia ma soprattutto a livello globale, c’è stata –e c’è– in primis una famiglia che ha creduto come pochi altri alla missione che si era data ingaggiandosi in prima persona: crescere e far crescere trasmettendo un messaggio salutistico e qualitativo ribaltando i tradizionali paradigmi commerciali grazie a una nuova filosofia ispirata più al principio di ‘agire con una comunità di persone’, anziché con un normale cliente.
Ma il fattore di successo non ha visto solo la relazione con il consumatore. Sono state messe a punto politiche illuminate di relazioni sindacali che hanno saputo cogliere valori fondamentali ispirati al mondo rurale del contesto locale: accordi di conferimento con lo stesso lavoratore per l’acquisto delle nocciole Piemonte, orari flessibili per i periodi di vendemmia o di raccolto. Tutto ciò ha rafforzato il forte legame identitario tra dipendente e fabbrica con indubbie ricadute in termini di flessibilità organizzativa e produttiva. Non ultimo la famiglia e l’azienda hanno dato vita a un capillare sistema di welfare dalle prestazioni cliniche e socio assistenziali di prim’ordine erogate a favore della collettività locale e a una fondazione artistica con lo scopo di organizzare annualmente eventi che richiamano turisti e appassionati da ogni parte d’Italia, a dimostrazione che cultura, impresa e territorio sono asset tra i più preziosi su cui investire.
Oggi Ferrero realizza un fatturato di oltre 10 miliardi di euro, è tra i leader mondiali nel suo settore grazie anche a un patrimonio umano di prim’ordine, avendo saputo creare un unicum in cui coesistono con il giusto equilibrio rispetto del passato e visione del futuro grazie soprattutto al forte legame tra la proprietà e la sua gente. Allo stesso tempo Alba si è sviluppata come meta mondiale del turismo enogastronomico grazie anche al recente riconoscimento dell’Unesco. Fa piacere vedere realizzare queste bellissime storie lontane anni luce dai modelli dominanti del lavoro globalizzato. Sono la nostra forza e la vera ricchezza italiana!