La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

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La conciliazione tra il lavoro e la vita continua ad essere un problema di difficile soluzione. Si riesce a conciliare se l’organizzazione consente, a chi lavora, margini di flessibilità. Ma la flessibilità ha un impatto sull’organizzazione del lavoro, per questo la faccenda si complica. L’azienda deve adottare nuove metriche di misurazione degli obiettivi e i capi, prima degli altri, devono adottare comportamenti che facilitino un cambiamento organizzativo. La questione è complessa (stiamo per pubblicare un manuale della collana ‘I quaderni di Sviluppo&Organizzazione’ dedicato al Cambiamento organizzativo) perché al cambiamento della modalità con la quale il dipendente eroga la propria prestazione deve fare da contraltare un cambio di atteggiamento di chi le organizzazioni le governa. Due ricercatrici del Massachussetts Institute of Technolgy hanno realizzato uno studio volto a evidenziare il livello di produttività delle persone rispetto a due modalità organizzative: una nella quale la flessibilità era concessa alle persone secondo la discrezionalità dei capi e un’altra che consentiva alle persone di organizzare la loro modalità purché venissero rispettati gli obiettivi. In questo secondo caso i capi erano stati ‘istruiti’: era loro dovere partecipare della vita dei dipendenti e mostrare comprensione e tolleranza nei confronti degli impegni familiari. Un alert sull’iPad ricordava loro la necessità di dare supporto alle persone. I risultati dello studio hanno evidenziato che i dipendenti dell’organizzazione ‘flessibile’ hanno raggiunto i loro obiettivi con la medesima puntualità e il loro attaccamento all’azienda era aumentato. L’esperimento ci dice, secondo me, due cose.
Innanzitutto che allontanare dalla nostra vita aziendale i problemi che abbiamo nel privato, non paga. In secondo luogo che è tempo ormai di considerare la flessibilità comeuno strumento per migliorare le performance di tutti. Non sono solo le donne ad avere necessità di trovare un equilibrio tra la famiglia e il lavoro: tutti in azienda hanno questa necessità, espressione di esigenze differenti secondo le fasce di età. I più giovani dovranno accudire i figli piccoli mentre la popolazione più matura avrà a carico i genitori anziani.
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di Giovanni Scansani

L’Assessorato al reddito d’autonomia e all’inclusione sociale di Regione Lombardia ha organizzato il 6 e 7 aprile la prima edizione degli Stati Generali della conciliazione vita-lavoro e del Welfare aziendale. All’appuntamento, ricchissimo di spunti di riflessione e affiancato da una serie di work-shop tematici, hanno partecipato oltre 500 persone, segno evidente di come gli argomenti discussi siano di grande interesse in un Paese come il nostro, nel quale le politiche di welfare pubblico (sempre più in crisi) e quelle di welfare aziendale (sempre più in fase di sviluppo) spingono verso forme di integrazione e di co-progettazione. Leggi tutto >

di Giovanni Scansani

Misurare i risultati e gli impatti organizzativi realmente apportati dai piani di welfare aziendale (PWA) è da sempre uno dei principali argomenti del ricco dibattito sviluppatosi in questi ultimi anni sul tema. Molte le ricette e le teorie sin qui proposte, ma non sempre associate a misurazioni completamente affidabili. Il welfare aziendale (WA) è – o dovrebbe essere – considerato un investimento, non un costo. Come tutti gli investimenti deve poter generare un ROI (e per le aziende più avvedute anche uno SROI, ossia un Social Return On Investment). Ma dalla teoria alla misurazione effettiva il passo non è piccolo e neppure semplice. Un aiuto concreto arriverà, almeno per le PMI (e quindi per il 95% delle nostre imprese che impiegano ben l’80% degli addetti), dal Welfare Index PMI. Leggi tutto >

Il work-life balance è sempre più un fattore importante di coinvolgimento della forza lavoro. In grado di ridurre lo stress lavoro-correlato e di aumentare la motivazione, con evidenti risvolti sulla produttività aziendale. A confermare questa tendenza una ricerca condotta a livello europeo da ADP, fornitore mondiale di soluzioni di Human Capital Management (HCM).
I dati raccontano che lo stress relativo all’eccessivo lavoro minaccia il benessere del 91% dei dipendenti europei. Per il 44% degli intervistati lo stress è un fattore costante nel loro ruolo, mentre il 47% afferma che ne soffre di tanto in tanto.
Tuttavia, un quarto dei dipendenti ritiene che il datore di lavoro non riesca ad aiutarli appieno nel gestire al meglio lo stress; un quinto (19%) pensa che le aziende ignorino il loro livello di stress. Il 5% dei dipendenti arriva addirittura a considerare di lasciare il lavoro per colpa dell’eccessivo stress. Ma i livelli di stress variano in modo significativo da Paese a Paese, con i dipendenti polacchi che lo vivono più spesso, mentre quelli olandesi meno (vedi la tabella). Leggi tutto >

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