La cura della persona e dell’ambiente di lavoro come opportunità di crescita per le organizzazioni

di Chiara Sorace

Seconda puntata del Dossier Welfare. Intervista a Mario Bassini, Human Resources Corporate Director di Askoll Holding.

Mario Bassini ci spiega che in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, che vedono progressivamente messi in discussione molti dei capisaldi sui quali si fonda −speriamo non ‘si fondava’− il welfare originario. “Il concetto di welfare aziendale sta divenendo pericolosamente di moda. Dico pericolosamente perché l’esperienza professionale di quasi un quarto di secolo nelle spesso abusate aree della gestione del personale e collegate, si muove sovente inseguendo le mode: quando ciò avviene, normalmente non si producono risultati di grande utilità.
Capita infatti di imbattersi in chi, volendo/dovendo portare comunque un contributo, qualunque esso sia, spaccia per welfare qualche azione che sa più di paternalismo aziendale (più o meno vetero, fate un po’ voi); chi viceversa può permettersi di esplorare frontiere che personalmente trovo sorprendenti e quasi fantascientifiche, se penso alla recente proposta di una realtà professionale che offre servizi al limite del reale: dal personal trainer al personale shopper, dalla tata per i bimbi al consulente familiare per i dissidi coniugali…
Credo sia però innegabile che effettivamente il campo è interessante e le esperienze cominciano ad avere più di un senso, aiutati anche da elementi di pressione contributivo/ fiscale e di attenzione ai costi che fanno emergere come sia a volte più ‘facile’ e più conveniente, mettere in tasca al dipendente qualche importante forma di servizio che verrà apprezzata come moneta sonate, senza averne il costo e il gravame. E quando il ‘vampiro’ travestito da erario se ne renderà completamente conto, saranno tempi grami…
E allora ecco spuntare esperienze interessanti che si associano a quella ‘cura’ del dipendente che forse non contribuiranno a far scalare le classifiche del Best Place To Work ma certo aiutano a migliorare la percezione dell’azienda e il senso di fidelizzazione, in epoche dove il nomadismo −o randagismo?− professionale sembra ormai essere diventato un must.
Nella mia esperienza personale, pregressa e attuale, ci sta un po’ di tutto: dal tentativo di asilo nido o di palestra aziendale, alle forme assicurative sanitarie, dal buono spesa al buono viaggio, dal conto corrente a costo zero al mutuo a tasso agevolato. Talvolta persino si riesce a suscitare reazioni scomposte del tipo: “Se mi dai il tasso agevolato con la banca X, è perché qualcuno si è fatto agevolare in modo ancor più massiccio (segnatamente il capo del personale…) e allora faccio una scelta diversa perché l’azienda dovrebbe rimanere terza sempre e comunque”. Per sgombrare il campo da simili pensieri mi è capitato di convenzionare l’intero pacchetto di esercenti aderente alla locale associazione commercianti, così ciascuno poteva scegliere al meglio; e la cosa funzionò egregiamente.
In ogni caso, al di là di quanto specificato in premessa, penso sarà sempre più anche su questi aspetti che si giocheranno e misureranno il valore etico e la capacità di crescita e di miglioramento di un’organizzazione; bene che la nostra comunità professionale si interroghi sulla questione e metta a fattor comune le proprie esperienze, ne potranno sicuramente nascere utili contaminazioni”. Leggi tutto >

di Chiara Sorace

Nel nostro Paese le organizzazioni quanto si occupano del benessere delle proprie persone? Che valore si dà a questo tema nelle aziende, grandi o piccole che siano? Quali le criticità nell’affrontare un piano di welfare? Quali le maggiori esigenze? Verso quali iniziative si stanno orientando le imprese italiane? Ci siamo confrontati con alcuni direttori del personale che ci hanno raccontato le attività all’interno della propria organizzazione.
Quella di seguito è la prima puntata del Dossier Welfare, il protagonista è Mauro Boano, Group Human Resources Director di Guala Closures. Leggi tutto >

Criticità, innovazioni tecnologiche e servizi a valore aggiunto – II parte

di Giovanni Scansani

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Nuovi approcci di Hr managment in un panorama fiscale favorevole, ma anacronistico
Nuovi bisogni giustificano nuove logiche di management delle Risorse Umane e nuove prospettive dalle quali guardare al ruolo sociale che le Imprese sono (ri)chiamate a svolgere essendo queste sempre più vissute (come in origine lo era solo la famiglia) anche quali vere e proprie “agenzie” di Welfare. Tutto ciò, beninteso, in una logica che non è di tipo paternalistico. Il Welfare Aziendale è, infatti, un investimento strategico pianificato prefissando ben precisi ed attesi livelli di ROI con i quali non solo rifinanziare nel tempo il PWA, ma anche poter incrementare le performance di alcuni KPI centrali per la corretta gestione dell’Impresa stessa (tra questi: attrazione e retention dei collaboratori, produttività, qualità, efficienza, engagement del Personale ed employer branding). Leggi tutto >

Criticità, innovazioni tecnologiche e servizi a valore aggiunto – I parte

di Giovanni Scansani

Lo stimolo verso l’adozione di Piani di Welfare Aziendale ha preso vigore in un contesto caratterizzato dal taglio della spesa destinata al Welfare Pubblico e dalla contestuale, sempre più evidente, emersione (e, per alcune casistiche, futura esplosione) di nuovi rischi derivanti dai radicali cambiamenti socio-demografici intervenuti negli ultimi anni. L’origine del collegamento diretto tra le dinamiche della crisi e la crescita delle richieste di risposte integrative ai bisogni risale a ben prima dell’attuale contesto di crisi: si può almeno ritornare a quella energetica degli anni ‘70 del secolo scorso perché è proprio dopo di allora che i governi dei Paesi europei hanno avviato la stagione della ridefinizione dei sistemi di Welfare: mentre, però, nel nord Europa la “copertura” dei bisogni si è potuta sposare con il rigore gestionale, in Italia non si è riusciti a correggere le cause degli squilibri che hanno cristallizzato nel tempo un sistema di protezione sociale disfunzionale in termini di ripartizione della spesa nei vari settori di intervento.
Anche i più recenti trend, disegnati con la “Strategia di Lisbona” e il programma “Europa 2020”, hanno indotto i Paesi europei ad attivarsi sul fronte di alcune riforme che hanno toccato pensioni, politiche del lavoro e interventi di lotta all’esclusione sociale, ma quanto all’Italia essi non hanno certamente eliminato l’ipertrofia della spesa pensionistica e gli squilibri relativi alla spesa per il restante Welfare Pubblico.
Per fotografare rapidamente il caso italiano basterà pensare che, da noi, pur essendo la spesa sociale complessiva sostanzialmente in linea con il dato UE, più della metà di essa se ne va per le sole prestazioni pensionistiche, con evidente sacrificio di altre aree di bisogno (famiglie, non autosufficienza, povertà). Se alla crisi attuale aggiungiamo la pratica dell’austerità più o meno indiscriminata e la miope decisione di tagliare il Welfare Pubblico (proprio quando ce n’è più urgente necessità) è facile comprendere perché, in questi ultimi anni, il bisogno di Welfare e di prestazioni integrative richieste dai Lavoratori sia particolarmente cresciuto.
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